martedì 24 marzo 2020

LA STORIA DEL TEMPO -STEP#02

L'origine della parola "tempo" la si può ricercare nelle lingue più antiche e questo non è un caso. Per esempio si ricollega al greco τέμνω = divido, separo. Effettivamente, il concetto di divisione, di partizione rende bene l'idea di arco temporale, di periodo, di epoca...
Altre interpretazioni etimologiche (meno accreditate), riconducono al sanscrito tàpas = tepore, atmosfera, oppure, al lituano tempti = distendere (nel senso di durare).
Per individuare le prime apparizioni del termine dovremmo arrivare all'origine di tutte le lingue, anzi, all'origine di tutto. Il 'tempo' infatti è un concetto che esiste "da sempre": ha avuto inizio con l'origine dell'Universo.

Le recenti conferme astrofisiche, portano la storia dell’Universo ad iniziare circa 15 miliardi di anni fa.  Non si può però dire nulla sullo stato dell’Universo prima del momento (o istante) iniziale, che gli astronomi e astrofisici chiamano T=0. Si suppone che in quell’istante tutto fosse condensato in un punto di dimensioni nulle e di energia infinita, la "singolarità", dove il concetto di tempo cronologico (come lo concepiamo noi) non aveva significato, perché il tempo stesso doveva nascere! 

Con la propagazione del primo quanto di luce hanno origine il tempo e lo spazio, concetti strettamente legati. I cambiamenti materiali e spaziali regolati dalla fisica determinano, secondo l'osservazione, il corso del tempo. Tutto ciò che si muove nello spazio e/o si trasforma è così descritto anche a livello temporale. 

L'uomo per natura è portato ad interrogarsi sulla validità del concetto di tempo.
Importanti questioni filosofiche, metafisiche e fisiche sul tempo comprendono:
  • Il tempo senza cambiamento è concettualmente impossibile?
  • Il tempo scorre, oppure l'idea di passato, presente e futuro è completamente soggettiva, descrittiva solo di un inganno dei nostri sensi?
  • Il tempo è rettilineo o lo è solo nel breve spazio di tempo che l'uomo ha sperimentato e sperimenta?
Concetti e paradossi nell'antichità classica


I paradossi di Zenone sfidavano in modo provocatorio la nozione comune di tempo. Il paradosso più celebre è quello di Achille e la tartaruga: secondo il suo ragionamento, attenendosi strettamente alle regole logiche, l'eroe greco  non raggiungerebbe mai una tartaruga. Continuando all'infinito Achille riuscirà ad avvicinarsi sempre di più all'animale il quale però continuerà ad avere un sempre più piccolo ma comunque sempre presente distacco. La paradossale conclusione di Zenone era: Achille non raggiungerà mai la tartaruga.

La posizione di Parmenide è assai diversa da quella dell'allievo Zenone: questi infatti sosteneva che l'"ancoraggio metafisico" del reale, l'essenza stessa della realtà, fosse eterno e che, dunque, il tempo fosse una posizione della doxa ('opinione'), di quella sapienza che non è propria di chi sa veramente. In seno all'essere (che è l'essenza del mondo), in sintesi, non c'è tempo né moto.

Anche Platone è stato influenzato da questa concezione. Secondo la sua celebre definizione il tempo è "l'immagine mobile dell'eternità". Per Aristotele, invece, è la misura del movimento secondo il "prima" e il "poi", per cui lo spazio è strettamente necessario per definire il tempo. Solo Dio è motore immobile, eterno e immateriale.

Secondo Agostino il tempo è stato creato da Dio assieme all'Universo, ma la sua natura resta profondamente misteriosa, tanto che il filosofo, vissuto tra il IV e il V secolo d.C., afferma ironicamente: "Se non mi chiedono cosa sia il tempo lo so, ma se me lo chiedono non lo so".  Per Agostino, insomma, il tempo è un'entità soggettiva. Tuttavia ne riconosce anche una dimensione oggettiva


Dal tempo soggettivo alla teoria della relatività

È stato il filosofo tedesco Immanuel Kant a cambiare radicalmente questo modo di vedere, grazie alla sua cosiddetta nuova "rivoluzione copernicana", secondo la quale al centro della filosofia non si deve porre l'oggetto ma il soggetto: il tempo diviene allora, assieme allo spazio, una "forma a priori della sensibilità". In sostanza se gli esseri umani non fossero capaci di avvertire lo scorrere del tempo non sarebbero neanche capaci di percepire il mondo sensibile e i suoi oggetti che, anche se sono inconoscibili in sé, sono collocati nello spazio.

Un grande contributo alla riflessione sul problema del tempo si deve al filosofo francese Henri Bergson il quale, nel suo Saggio sui dati immediati della coscienza osserva che il tempo della fisica non coincide con quello della coscienza. Il tempo come unità di misura dei fenomeni fisici, infatti, si risolve in una spazializzazione (come ad esempio le lancette dell'orologio) in cui ogni istante è oggettivamente rappresentato e qualitativamente identico a tutti gli altri; il tempo originario, invece, si trova nella nostra coscienza che lo conosce mediante intuizione; esso è soggettivo, e ogni istante risulta qualitativamente diverso da tutti gli altri.

Un cambiamento radicale del concetto di tempo in fisica è stato invece introdotto dalla teoria della relatività ("ristretta" nel 1905 e "generale" nel 1916) di Einstein. Secondo la relatività ristretta, la misura degli intervalli di tempo non è assoluta, ma relativa all'osservatore. Quello che è uguale per tutti gli osservatori, infatti, è il valore dalla velocità della luce: è una costante universale: c = 299.792,458 km al secondo. Le quantità invarianti per tutti gli osservatori non sono quelle relative separatamente allo spazio e al tempo, bensì quelle definite nello spazio-tempo quadridimensionale. 



Ancora oggi questo argomento è fonte di notevoli discussioni. Come in ogni concetto filosofico, ognuno di noi può concepirlo in maniera differente, con teorie più o meno giuste, perchè nessuno è uguale all'altro. Forse la bellezza dell'uomo sta proprio in questo..

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